Abduction Planet Arkturus (Quito)
- Descripción
Descripción
Abduction Planet Arkturus (Quito)
ABDUCTION O CONTATTISMO?
PEDRO E GLI UOMINI DI AKTURUS
di Andrea Corazza
PEDRO E GLI UOMINI DI AKTURUS
di Andrea Corazza
da «UFO Notiziario» Nuova Serie – N. 19 dell’Aprile 2001
Ho conosciuto Pedro Gomez una sera di pioggia torrenziale, alla fermata dell’autobus che collega l'»avenida» Eloy Alfaro con la parte meridionale di Quito, la capitale dell’Ecuador coraggiosamente adagiata sulle pendici del vulcano Pichincha.
Con il viso giovanile, la stretta di mano un po’ incerta ed il passo leggermente sbieco, Pedro è un quarantenne che scambieresti per un ragazzo di venticinque; abbiamo aspettato l’autobus trovando rifugio sotto il chiosco di un venditore di frutta, maledicendo il momento in cui, confidando nei raggi del sole, avevo lasciato l’ombrello a casa.
Saliamo sull’autobus scassato che arriva poco dopo. Il tragitto dura circa mezz’ora e attraversa la parte coloniale della città, con le sue chiese barocche lasciate dagli spagnoli, immergendoci nelle stradine ripide tra le poche automobili parcheggiate a stento e gli ultimi venditori ambulanti della sera. Scendiamo al «redondel» Atahualpa, una piazza circolare con un bel giardino proprio al centro e, correndo sotto il nubifragio lungo una strada in discesa, raggiungiamo la casa di Pedro, dove la moglie Dina ci apre la porta con un sorriso: mi tolgo il maglione zuppo e la signora me ne presta immediatamente uno di lana grezza, caldissimo. Raggiungiamo lo studio dove trovo un’infinità di pennelli, colori, tinte, vernici, quadri terminati, alcuni solo abbozzati, altri coperti da teli rigidi. I soggetti sono sempre gli stessi: sfere, piramidi, stelle, figure umane che fluttuano tra le galassie. Mi siedo su una sedia di paglia, ricevendo la visita festosa di un cane che mi appoggia le zampe sulle ginocchia con in bocca ciò che rimane di un peluche.
«Anda, peroto, anda!» gli grida Pedro alzandosi in piedi.
«No, non ti preoccupare, non mi da fastidio, anzi…»
La signora Dina rientra nella saletta chiedendo scusa e mi porge un the caldo e due «humitas» di mais che accetto volentieri.
«Allora Pedro, raccontami tutto…»
«Bene Andrea.. come ti dicevo sono pittore, dipingo quadri con l’aerografo da diversi anni, anche se, successivamente alla mia esperienza con gli extraterrestri, ho dovuto smettere per un po’. I quadri li vendo ogni sabato e domenica durante la fiera permanente al Parco El Ejido, che sicuramente conoscerai. Circa dieci anni fa vivevo con Dina e i miei due figli un po’ più a nord, lungo la Pana Occidental. Grazie ad un diploma di elettricista ho cominciato a lavorare in un centro assistenza di televisione, dando anche lezioni di judo presso la scuola della Gasca. Al mio più grande amore, la pittura, dedicavo quasi tutte le sere, in una stanzetta più piccola di questa ma ugualmente in disordine!»
«I soggetti dei tuoi quadri erano piramidi e sfere?»
«No, non ancora… diciamo che realizzavo quadri più ‘tranquilli’: chiese, strade e piazze di Quito, soprattutto del settore coloniale».
«L’aerografo è affascinante, ma tutte queste vernici…»
«Già, all’inizio il problema non me lo ero mai posto, non immaginavo che lavorare al chiuso, a contatto con le vernici, i chimici e i diluenti mi avrebbe fatto così male… in effetti è accaduto tutto in una sera di dieci anni fa: erano circa le otto, stavo dipingendo, quando mi accorgo che le mie mani cominciano improvvisamente a tremare, non riesco a stare in piedi e la vista mi si annebbia. Devo aver urlato, perché Dina è accorsa subito: da quel momento ho perso i sensi.»
«Che ti era successo?»
«Il medico mi spiegò che avevo avuto un attacco di cuore e, allo stesso tempo, un grave blocco respiratorio dovuto all’esposizione ai chimici. Mia moglie, vedendomi a terra, chiama un’amica infermiera che all’epoca viveva al piano sopra di noi. Janette, così si chiama l’infermiera, mi fa subito una respirazione bocca a bocca mentre Dina esce in strada per cercare un taxi e portarmi all’ospedale. lo ero svenuto; queste cose, ovviamente, me le hanno raccontate loro. Il taxi per fortuna arriva quasi subito e, come se avessi ripreso i sensi, mi ricordo dell’interno del taxi, il viso di Dina in lacrime e le sue mani che cercano di pulire la mia bocca, perché vomitavo vernice, la vernice che stavo usando con l’aerografo.»
«Quindi dentro il taxi eri cosciente?».
«Sì, al dottore glielo ho detto più volte: nonostante l’attacco di cuore ed il blocco respiratorio, io mi ero ripreso, ero cosciente.»
«Quanto tempo è passato dal tuo svenimento all’arrivo del taxi?»
«Non più di due minuti, così mi ha detto Dina… rimango presso l’Hospital del Sur per tre giorni; il primo giorno mi mettono una maschera d’ossigeno, i due giorni successivi i medici mi fanno tutti i tipi di analisi possibili, mi somministrano pasticche anticonvulsioni, mi ripetono le analisi. Mi parlano di un caso eccezionale, rarissimo, per il fatto di essermi ripreso così presto e essere tornato alla normalità già arrivando all’ospedale. Torno a casa completamente ristabilito ma ricevo dai medici il dovere tassativo di lasciare la pittura.»
«Non dovevi certo aspettare che te lo dicessero loro, no?»
«Già, solo al pensiero di rientrare nella stanza con quei chimici e sarei svenuto ancora! Riprendo a lavorare riparando televisioni e dando le lezioni di judo. Otto mesi dopo partecipo ad un torneo organizzato dalla mia stessa scuola e, durante un combattimento, peraltro vittorioso, ricevo un paio di botte ben assestate, una nello stomaco e l’altra di dietro, nel fondo schiena. Colpo davvero forte quest’ultimo, perché mi blocco completamente e per diversi giorni quasi non riesco a muovermi per il dolore! Smetto ogni attività, ma al persistere del fastidio che quasi non mi permette di camminare, decido di andare da un medico per sottopormi ad analisi e farmi i raggi X. Il giorno del ritiro pelle lastre, la signora addetta alla consegna mi chiama e mi porta nello studio dove trovo il dottore: mi appende le lastre su quel pannello luminoso che usano loro e mi dice di aver notato qualcosa di strano, qualcosa come un filamento metallico inserito nel fondoschiena… mi chiede se avessi fatto delle operazioni da bambino, perché non riusciva a capire di che si trattasse.»
«Un filamento metallico?»
«Sì Andrea, il medico aveva ragione: ho un filo metallico lungo dieci centimetri che parte dall’osso sacro e sale su: ed io non me ne ero mai accorto! Pian piano il dolore alla schiena mi passa, grazie anche al forzato riposo, e riprendo a disegnare, ovviamente senza usare l’aerografo, ma solo con matite, carboncino e pastelli. Purtroppo, l’idea di avere una sbarretta metallica nel fondo schiena, finita li chissà come, non mi faceva stare tranquillo, era una situazione davvero inconcepibile… e divento nervoso, intrattabile. Durante le ore che passo a disegnare, soprattutto la sera, vengo ‘tormentato’ dal ricordo di uno strano simbolo, non capisco di che si tratti, ma con grandi sforzi riesco a vederlo in modo sempre più nitido nella mia mente: una specie di croce, che disegno di continuo sulle tavole che ho di fronte a me. Le mie notti cambiano radicalmente: comincio a fare sogni strani, intensi, vedo luci, abbozzi di visi, vedo un pavimento di marmo, immagini confuse di persone in piedi davanti a me che mi guardano, vedo l’interno di un ambiente buio, come l’interno di un cinema… comincio ad avere paura ad addormentarmi.»
«Dicevi di una croce?»
«Sì una croce, aspetta, te la disegno… qualcosa del genere, vedi? Una croce più o meno così, con due sbarrette ai lati… bene, man mano che passava il tempo le notti in bianco no le contavo più. Avevo paura, al punto che avevo cominciato a dormire in cucina, per far dormire Dina in santa pace! Janette, l’infermiera che mesi prima mi aveva salvato la vita grazie al suo intervento tempestivo, mi consiglia di farmi una seduta di ipnosi regressiva, per cercare di capire che cosa stesse accadendo, se i sogni che avevo, vista la loro ripetitività ed intensità, potessero essere legati a qualcosa accaduto realmente, qualcosa che avevo rimosso senza saperlo. Devo dirti che non mi piaceva affatto l’idea, credevo che cose del genere potessero creare ancora più confusione, non so, complicare le cose a livello inconscio. È stato durante una doccia che, pungendomi il dito della mano con un’estremità del filamento metallico affiorato in superficie, decido di dar retta a Janette e fare la seduta di ipnosi.»
La seduta d’ipnosi regressiva è affidata tre mesi più tardi a due medici americani presso l’hotel Akros di Quito. In un primo momento, Pedro Gomez viene sottoposto ad un test psicologico per stabilire e valutare se il suo stato psico-emozionale rientri nei parametri accettabili; successivamente, data la peculiarità della situazione, viene sottoposto al test della macchina della verità, in cui risulta che quanto da lui affermato in sede di colloquio preventivo era da considerarsi veritiero.
A seguito riporto le principali domande effettuate dai due medici mentre Pedro Gomez persiste in uno stato di profonda ipnosi.
«Signor Gomez, cosa ricorda dal momento del suo svenimento?»
«Ricordo di essere stato risucchiato da un fascio di luce, un raggio azzurro che mi tirava da tutte le parti, la pelle, i muscoli e le ossa, e mi sentivo come se fossi trascinato da una corrente… ero rigido, bloccato… questa forza mi alzava su, sapevo che stavo salendo su…»
«Poteva vedere quello che le accadeva?»
«No, i miei occhi erano chiusi, ma ero cosciente di non toccare più il pavimento e continuare a salire…»
«Poi cosa è successo?»
«Mi sono ritrovato all’interno di una sala poco illuminata… ho potuto riaprire gli occhi e mi sono reso conto che non potevo muovermi… ero in piedi, completamente nudo, ancora rigido, con le braccia appoggiate sui fianchi… potevo muovere solo il collo… l’ambiente era freddo, buio… ho girato faticosamente la testa a sinistra e a destra… ho visto dei pannelli luminosi simili a monitor di diversi color intorno a me…»
«Che altro si ricorda dell’interno della sala?»
«…il pavimento… era come di marmo, ma non riuscivo a vedere i miei piedi perché il collo era ancora troppo rigido… mi sentivo stanco, debole, non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti… poi di fronte a me ho visto degli uomini avvicinarsi…»
«Che tipo di uomini?»
«Erano uomini… come noi, ma più alti… i capelli erano chiari e lunghi, tirati all’indietro… li ho visti camminare verso di me… ho aperto gli occhi più che potevo per vederli meglio e mi sono accorto che sul pavimento c’era come una specie di nebbiolina che copriva i loro piedi…»
«Questi uomini come erano vestiti? C’erano anche delle donne?»
«Non mi ricordo di aver visto delle donne… ma gli uomini erano vestiti con tuniche chiare e lunghe… sembravano dei francescani… avevano un simbolo sulla tunica… l’ho visto bene, era una specie di croce…»
«Una croce?»
«Era una specie di croce… il disegno di una finestra con al centro una croce…»
«Cos’altro si ricorda, signor Gomez?»
«Ad un tratto è comparso un uomo che si è avvicinato fin quasi a toccarmi… con le dita indice e medio della mano destra ha sfiorato il mio stomaco, poi il petto… ho sentito come una vibrazione, calda e piacevole… sentivo che tutti gli organi interni del mio corpo si mettevano in moto, fremevano… è stata una sensazione intensa…»
«Può farci una descrizione di quest’uomo?»
«Aveva gli occhi chiari, la pelle chiara, i capelli lunghi, pettinati all’indietro… ho rivisto il simbolo che aveva sulla tunica, l’ho visto bene… poi mi ha parlato…»
«Le ha parlato con la voce o telepaticamente?»
«Non lo so se ha usato la voce… non lo ricordo.»
«Le ha parlato in spagnolo?»
«Si, mi ha parlato in spagnolo… mi ha detto il suo nome, Kelium… mi ha detto che veniva da un pianeta extrasolare che si chiama Akturus, nella costellazione delle Pleiadi… e che è qui per aiutare le persone che soffrono e per insegnare all’uomo quei valori che sta dimenticando, come l’umiltà e l’amore… mentre mi diceva queste cose, un’altra persona gli si è affiancata porgendogli una scatoletta di materiale scuro… sembrava un porta occhiali… l’uomo… Kelium, l’ha aperta ed ho intravisto un lungo spillo… mi ricordo di un forte dolore dietro la schiena, un dolore acuto…»
«Ha perso i sensi?»
«Credo di sì… non ricordo più nulla di quello che è successo dopo… se non di ritrovarmi dentro una macchina, con una forte sensazione di soffocamento… non riuscivo a respirare… poi ho vomitato… ricordo mia moglie Dina che usava un fazzoletto sulla mia bocca… poi mi sono sentito meglio…»
La prima cosa che sembra sbalorditiva è il pensare che la sua vicenda, il suo «rapimento», il contatto con gli esseri e la successiva «operazione» a cui è stato sottoposto, sia durato nel lasso di tempo che va dal momento in cui la moglie Dina corre su per le scale per chiamare l’infermiera, fino al momento in cui l’infermiera stessa entra nello studio e compie la respirazione bocca a bocca. Questo infatti sembra essere l’unica parentesi in cui Pedro viene lasciato completamente solo. Due soli minuti, come mi ha assicurato la moglie. Sembrerebbe da pensare, quindi, che sia proprio durante il «missing time» che si sia svolta «l’operazione chirurgica», anche se sembrerebbe essere stata più un’operazione di «first aid» alquanto rapida, quasi un impianto effettuato con una sorta di anestesia locale, visto lo stato di coscienza del soggetto. Ma la deformazione della nostra quadri-dimensione spazio-temporale e l’assoluta facilità con cui gli esseri extraterrestri apparentemente ne possano disporre, allungandola o restringendola a loro piacimento, non è affatto una novità. Inoltre, la casistica che vede implicati extraterrestri molto simili a noi, un po’ più alti ma senz’altro con fattezze «nordiche» (capelli e occhi chiari, fronti alte e spaziose, quasi a denotare un livello intellettivo superiore al nostro) non è ampia come nel caso di impianti e operazioni chirurgiche effettuate dai cosiddetti «grigi» (e tutte le loro sotto-classi) ma, in ogni caso, si può dire abbastanza costante. Da non sottovalutare è il discorso del simbolo, della croce: Pedro non lo ha rivelato durante la seduta ipnotica, semplicemente perché non glielo hanno chiesto, ma si ricorda seppure sotto forma di flash ricorrenti (ricordi che avvengono in stato di piena coscienza) che il simbolo in questione si trovava anche ben visibile sulla superficie esterna della nave spaziale che, in qualche modo, ha avuto l’opportunità di vedere, probabilmente durante il teletrasporto (a forma piramidale nella parte superiore e a forma leggermente concava nella parte inferiore, molto simile alle navi spaziali osservate a Portorico negli anni Ottanta e Novanta, navi che, in pieno giorno, risucchiavano a bordo esseri umani grazie ad un raggio aspirante).
Non vorrei andare troppo oltre, ma il pensare a uomini con capelli biondi e lunghi, con una tunica francescana recante un simbolo che ricorda in maniera impressionante la croce cristiana, il messaggio di amore e umiltà di cui sono convinti portatori, non può non richiamare alla mente certe icone della religione cattolica. Gli assertori della teoria secondo cui la dottrina cristiana sia un progetto costruito ad arte da esseri provenienti da civiltà superiori, saranno felici: la religione, qualunque essa sia, è un mezzo straordinariamente potente e duraturo, perché gli insegnamenti vengono tramandati per via orale, cioè senza rischio di andare perduti. E qualunque sia il messaggio che la religione porti con sé, tale messaggio viaggerà facilmente ed eternamente.
Negli ultimi mesi del 2000 sono tornato diverse volte a casa di Pedro, ho pranzato assieme alla moglie, cordiale come sempre, e ai suoi due figli. Pedro è una persona speciale, sensibile, mi introduce ai suoi nuovi quadri con grande modestia, quasi sottovoce, spiegandomi il loro significato. Non avendo avuto più nessun problema fisico, da circa due anni ha ripreso a dipingere con più entusiasmo di prima.
«I soggetti mi vengono uno dopo l’altro, ho così tanti spunti che non so da dove cominciare!»
E così mi mostra piramidi e astronavi viaggiare nello spazio, sfere luminose e visi di alieni dipinti con grande realismo grazie alla magia dell’aerografo. La vicenda dei raggi X e del filamento metallico, che ho avuto la opportunità di vedere, non lo disturba più, anzi, sembra che sia un valido alleato per dimostrare, a se stesso più che agli altri, che la sua vicenda è vera e magnifica.
Un giorno di settembre mi chiama a casa: dopo neanche venti minuti bussa alla porta, lo faccio entrare, si siede pesantemente sul divano e si tira su le maniche.
«Guarda qui, ho delle bruciature simmetriche ad entrambi i polsi… ieri mi sono svegliato e me ne sono accorto… guarda, sono come delle cicatrici… ti assicuro che non le avevo! E tu sai bene che non fumo!»
Gli osservo con cura i polsi ed, in effetti, riscontro la presenza di due cicatrici circolari. Mi vengono subito in mente le storie di «abductions», in cui si metteva in evidenza quello che può essere uno degli scopi degli impianti sottocutanei operati dagli esseri extraterrestri, ossia il posizionamento di apparati atti a tenere i soggetti sotto controllo. Ma lo sguardo di Pedro è talmente spaventato che non ho avuto il coraggio di dirgli quello che stavo pensando.
«Non mi sembrano bruciature… sembrano più degli sfoghi della pelle… piuttosto, Pedro, ho una notizia per te: sfogliando un libro di ufologia mi sono reso conto che il simbolo con la croce (a) che hai visto sulle tuniche degli esseri è molto, molto simile al simbolo del pianeta di Ummo, (b) che è più o meno così, guarda.»
Pedro afferra il foglio e lo osserva compiaciuto con un leggero sorriso.
«Grazie Andrea… è proprio lo stesso simbolo… Ummo… finalmente comincio ad avere delle risposte… io sono convinto di aver parlato con un essere di Luce, non so come spiegarlo, ma quando mi ha sfiorato con le dita, ho sentito la sua energia… è stato qualcosa di veramente fantastico…»
La vicenda di Pedro Gomez è una vicenda ancora aperta, apertissima. A giugno ritornerò in Ecuador: ne approfitterò per un fine settimana con lui presso il vulcano Cotopaxi, con i suoi 5400 metri il vulcano attivo più alto del mondo. Nelle vicinanze, possiede una appezzamento di terra e una piccola casa: mi ha più volte raccontato che, dalla notte con l’incontro con gli esseri di Akturus, è stato «seguito» da luci misteriose durante le sue escursioni notturne (un suo hobby) presso il vulcano, mi ha mostrato un oggetto trovato durante una delle sue ultime scalate, un oggetto nero, quasi metallico, a forma di grosso uovo, con dentro una sbarra cilindrica ed esternamente una serie di curiose incisioni.
Saluto Pedro e la sua bella famiglia, la moglie dolcissima ed i suoi figli, ricevendo un forte senso di serenità, calore ed umiltà. Lo rivedrò presto.
Ho conosciuto Pedro Gomez una sera di pioggia torrenziale, alla fermata dell’autobus che collega l'»avenida» Eloy Alfaro con la parte meridionale di Quito, la capitale dell’Ecuador coraggiosamente adagiata sulle pendici del vulcano Pichincha.
Con il viso giovanile, la stretta di mano un po’ incerta ed il passo leggermente sbieco, Pedro è un quarantenne che scambieresti per un ragazzo di venticinque; abbiamo aspettato l’autobus trovando rifugio sotto il chiosco di un venditore di frutta, maledicendo il momento in cui, confidando nei raggi del sole, avevo lasciato l’ombrello a casa.
Saliamo sull’autobus scassato che arriva poco dopo. Il tragitto dura circa mezz’ora e attraversa la parte coloniale della città, con le sue chiese barocche lasciate dagli spagnoli, immergendoci nelle stradine ripide tra le poche automobili parcheggiate a stento e gli ultimi venditori ambulanti della sera. Scendiamo al «redondel» Atahualpa, una piazza circolare con un bel giardino proprio al centro e, correndo sotto il nubifragio lungo una strada in discesa, raggiungiamo la casa di Pedro, dove la moglie Dina ci apre la porta con un sorriso: mi tolgo il maglione zuppo e la signora me ne presta immediatamente uno di lana grezza, caldissimo. Raggiungiamo lo studio dove trovo un’infinità di pennelli, colori, tinte, vernici, quadri terminati, alcuni solo abbozzati, altri coperti da teli rigidi. I soggetti sono sempre gli stessi: sfere, piramidi, stelle, figure umane che fluttuano tra le galassie. Mi siedo su una sedia di paglia, ricevendo la visita festosa di un cane che mi appoggia le zampe sulle ginocchia con in bocca ciò che rimane di un peluche.
«Anda, peroto, anda!» gli grida Pedro alzandosi in piedi.
«No, non ti preoccupare, non mi da fastidio, anzi…»
La signora Dina rientra nella saletta chiedendo scusa e mi porge un the caldo e due «humitas» di mais che accetto volentieri.
«Allora Pedro, raccontami tutto…»
«Bene Andrea.. come ti dicevo sono pittore, dipingo quadri con l’aerografo da diversi anni, anche se, successivamente alla mia esperienza con gli extraterrestri, ho dovuto smettere per un po’. I quadri li vendo ogni sabato e domenica durante la fiera permanente al Parco El Ejido, che sicuramente conoscerai. Circa dieci anni fa vivevo con Dina e i miei due figli un po’ più a nord, lungo la Pana Occidental. Grazie ad un diploma di elettricista ho cominciato a lavorare in un centro assistenza di televisione, dando anche lezioni di judo presso la scuola della Gasca. Al mio più grande amore, la pittura, dedicavo quasi tutte le sere, in una stanzetta più piccola di questa ma ugualmente in disordine!»
«I soggetti dei tuoi quadri erano piramidi e sfere?»
«No, non ancora… diciamo che realizzavo quadri più ‘tranquilli’: chiese, strade e piazze di Quito, soprattutto del settore coloniale».
«L’aerografo è affascinante, ma tutte queste vernici…»
«Già, all’inizio il problema non me lo ero mai posto, non immaginavo che lavorare al chiuso, a contatto con le vernici, i chimici e i diluenti mi avrebbe fatto così male… in effetti è accaduto tutto in una sera di dieci anni fa: erano circa le otto, stavo dipingendo, quando mi accorgo che le mie mani cominciano improvvisamente a tremare, non riesco a stare in piedi e la vista mi si annebbia. Devo aver urlato, perché Dina è accorsa subito: da quel momento ho perso i sensi.»
«Che ti era successo?»
«Il medico mi spiegò che avevo avuto un attacco di cuore e, allo stesso tempo, un grave blocco respiratorio dovuto all’esposizione ai chimici. Mia moglie, vedendomi a terra, chiama un’amica infermiera che all’epoca viveva al piano sopra di noi. Janette, così si chiama l’infermiera, mi fa subito una respirazione bocca a bocca mentre Dina esce in strada per cercare un taxi e portarmi all’ospedale. lo ero svenuto; queste cose, ovviamente, me le hanno raccontate loro. Il taxi per fortuna arriva quasi subito e, come se avessi ripreso i sensi, mi ricordo dell’interno del taxi, il viso di Dina in lacrime e le sue mani che cercano di pulire la mia bocca, perché vomitavo vernice, la vernice che stavo usando con l’aerografo.»
«Quindi dentro il taxi eri cosciente?».
«Sì, al dottore glielo ho detto più volte: nonostante l’attacco di cuore ed il blocco respiratorio, io mi ero ripreso, ero cosciente.»
«Quanto tempo è passato dal tuo svenimento all’arrivo del taxi?»
«Non più di due minuti, così mi ha detto Dina… rimango presso l’Hospital del Sur per tre giorni; il primo giorno mi mettono una maschera d’ossigeno, i due giorni successivi i medici mi fanno tutti i tipi di analisi possibili, mi somministrano pasticche anticonvulsioni, mi ripetono le analisi. Mi parlano di un caso eccezionale, rarissimo, per il fatto di essermi ripreso così presto e essere tornato alla normalità già arrivando all’ospedale. Torno a casa completamente ristabilito ma ricevo dai medici il dovere tassativo di lasciare la pittura.»
«Non dovevi certo aspettare che te lo dicessero loro, no?»
«Già, solo al pensiero di rientrare nella stanza con quei chimici e sarei svenuto ancora! Riprendo a lavorare riparando televisioni e dando le lezioni di judo. Otto mesi dopo partecipo ad un torneo organizzato dalla mia stessa scuola e, durante un combattimento, peraltro vittorioso, ricevo un paio di botte ben assestate, una nello stomaco e l’altra di dietro, nel fondo schiena. Colpo davvero forte quest’ultimo, perché mi blocco completamente e per diversi giorni quasi non riesco a muovermi per il dolore! Smetto ogni attività, ma al persistere del fastidio che quasi non mi permette di camminare, decido di andare da un medico per sottopormi ad analisi e farmi i raggi X. Il giorno del ritiro pelle lastre, la signora addetta alla consegna mi chiama e mi porta nello studio dove trovo il dottore: mi appende le lastre su quel pannello luminoso che usano loro e mi dice di aver notato qualcosa di strano, qualcosa come un filamento metallico inserito nel fondoschiena… mi chiede se avessi fatto delle operazioni da bambino, perché non riusciva a capire di che si trattasse.»
«Un filamento metallico?»
«Sì Andrea, il medico aveva ragione: ho un filo metallico lungo dieci centimetri che parte dall’osso sacro e sale su: ed io non me ne ero mai accorto! Pian piano il dolore alla schiena mi passa, grazie anche al forzato riposo, e riprendo a disegnare, ovviamente senza usare l’aerografo, ma solo con matite, carboncino e pastelli. Purtroppo, l’idea di avere una sbarretta metallica nel fondo schiena, finita li chissà come, non mi faceva stare tranquillo, era una situazione davvero inconcepibile… e divento nervoso, intrattabile. Durante le ore che passo a disegnare, soprattutto la sera, vengo ‘tormentato’ dal ricordo di uno strano simbolo, non capisco di che si tratti, ma con grandi sforzi riesco a vederlo in modo sempre più nitido nella mia mente: una specie di croce, che disegno di continuo sulle tavole che ho di fronte a me. Le mie notti cambiano radicalmente: comincio a fare sogni strani, intensi, vedo luci, abbozzi di visi, vedo un pavimento di marmo, immagini confuse di persone in piedi davanti a me che mi guardano, vedo l’interno di un ambiente buio, come l’interno di un cinema… comincio ad avere paura ad addormentarmi.»
«Dicevi di una croce?»
«Sì una croce, aspetta, te la disegno… qualcosa del genere, vedi? Una croce più o meno così, con due sbarrette ai lati… bene, man mano che passava il tempo le notti in bianco no le contavo più. Avevo paura, al punto che avevo cominciato a dormire in cucina, per far dormire Dina in santa pace! Janette, l’infermiera che mesi prima mi aveva salvato la vita grazie al suo intervento tempestivo, mi consiglia di farmi una seduta di ipnosi regressiva, per cercare di capire che cosa stesse accadendo, se i sogni che avevo, vista la loro ripetitività ed intensità, potessero essere legati a qualcosa accaduto realmente, qualcosa che avevo rimosso senza saperlo. Devo dirti che non mi piaceva affatto l’idea, credevo che cose del genere potessero creare ancora più confusione, non so, complicare le cose a livello inconscio. È stato durante una doccia che, pungendomi il dito della mano con un’estremità del filamento metallico affiorato in superficie, decido di dar retta a Janette e fare la seduta di ipnosi.»
La seduta d’ipnosi regressiva è affidata tre mesi più tardi a due medici americani presso l’hotel Akros di Quito. In un primo momento, Pedro Gomez viene sottoposto ad un test psicologico per stabilire e valutare se il suo stato psico-emozionale rientri nei parametri accettabili; successivamente, data la peculiarità della situazione, viene sottoposto al test della macchina della verità, in cui risulta che quanto da lui affermato in sede di colloquio preventivo era da considerarsi veritiero.
A seguito riporto le principali domande effettuate dai due medici mentre Pedro Gomez persiste in uno stato di profonda ipnosi.
«Signor Gomez, cosa ricorda dal momento del suo svenimento?»
«Ricordo di essere stato risucchiato da un fascio di luce, un raggio azzurro che mi tirava da tutte le parti, la pelle, i muscoli e le ossa, e mi sentivo come se fossi trascinato da una corrente… ero rigido, bloccato… questa forza mi alzava su, sapevo che stavo salendo su…»
«Poteva vedere quello che le accadeva?»
«No, i miei occhi erano chiusi, ma ero cosciente di non toccare più il pavimento e continuare a salire…»
«Poi cosa è successo?»
«Mi sono ritrovato all’interno di una sala poco illuminata… ho potuto riaprire gli occhi e mi sono reso conto che non potevo muovermi… ero in piedi, completamente nudo, ancora rigido, con le braccia appoggiate sui fianchi… potevo muovere solo il collo… l’ambiente era freddo, buio… ho girato faticosamente la testa a sinistra e a destra… ho visto dei pannelli luminosi simili a monitor di diversi color intorno a me…»
«Che altro si ricorda dell’interno della sala?»
«…il pavimento… era come di marmo, ma non riuscivo a vedere i miei piedi perché il collo era ancora troppo rigido… mi sentivo stanco, debole, non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti… poi di fronte a me ho visto degli uomini avvicinarsi…»
«Che tipo di uomini?»
«Erano uomini… come noi, ma più alti… i capelli erano chiari e lunghi, tirati all’indietro… li ho visti camminare verso di me… ho aperto gli occhi più che potevo per vederli meglio e mi sono accorto che sul pavimento c’era come una specie di nebbiolina che copriva i loro piedi…»
«Questi uomini come erano vestiti? C’erano anche delle donne?»
«Non mi ricordo di aver visto delle donne… ma gli uomini erano vestiti con tuniche chiare e lunghe… sembravano dei francescani… avevano un simbolo sulla tunica… l’ho visto bene, era una specie di croce…»
«Una croce?»
«Era una specie di croce… il disegno di una finestra con al centro una croce…»
«Cos’altro si ricorda, signor Gomez?»
«Ad un tratto è comparso un uomo che si è avvicinato fin quasi a toccarmi… con le dita indice e medio della mano destra ha sfiorato il mio stomaco, poi il petto… ho sentito come una vibrazione, calda e piacevole… sentivo che tutti gli organi interni del mio corpo si mettevano in moto, fremevano… è stata una sensazione intensa…»
«Può farci una descrizione di quest’uomo?»
«Aveva gli occhi chiari, la pelle chiara, i capelli lunghi, pettinati all’indietro… ho rivisto il simbolo che aveva sulla tunica, l’ho visto bene… poi mi ha parlato…»
«Le ha parlato con la voce o telepaticamente?»
«Non lo so se ha usato la voce… non lo ricordo.»
«Le ha parlato in spagnolo?»
«Si, mi ha parlato in spagnolo… mi ha detto il suo nome, Kelium… mi ha detto che veniva da un pianeta extrasolare che si chiama Akturus, nella costellazione delle Pleiadi… e che è qui per aiutare le persone che soffrono e per insegnare all’uomo quei valori che sta dimenticando, come l’umiltà e l’amore… mentre mi diceva queste cose, un’altra persona gli si è affiancata porgendogli una scatoletta di materiale scuro… sembrava un porta occhiali… l’uomo… Kelium, l’ha aperta ed ho intravisto un lungo spillo… mi ricordo di un forte dolore dietro la schiena, un dolore acuto…»
«Ha perso i sensi?»
«Credo di sì… non ricordo più nulla di quello che è successo dopo… se non di ritrovarmi dentro una macchina, con una forte sensazione di soffocamento… non riuscivo a respirare… poi ho vomitato… ricordo mia moglie Dina che usava un fazzoletto sulla mia bocca… poi mi sono sentito meglio…»
La prima cosa che sembra sbalorditiva è il pensare che la sua vicenda, il suo «rapimento», il contatto con gli esseri e la successiva «operazione» a cui è stato sottoposto, sia durato nel lasso di tempo che va dal momento in cui la moglie Dina corre su per le scale per chiamare l’infermiera, fino al momento in cui l’infermiera stessa entra nello studio e compie la respirazione bocca a bocca. Questo infatti sembra essere l’unica parentesi in cui Pedro viene lasciato completamente solo. Due soli minuti, come mi ha assicurato la moglie. Sembrerebbe da pensare, quindi, che sia proprio durante il «missing time» che si sia svolta «l’operazione chirurgica», anche se sembrerebbe essere stata più un’operazione di «first aid» alquanto rapida, quasi un impianto effettuato con una sorta di anestesia locale, visto lo stato di coscienza del soggetto. Ma la deformazione della nostra quadri-dimensione spazio-temporale e l’assoluta facilità con cui gli esseri extraterrestri apparentemente ne possano disporre, allungandola o restringendola a loro piacimento, non è affatto una novità. Inoltre, la casistica che vede implicati extraterrestri molto simili a noi, un po’ più alti ma senz’altro con fattezze «nordiche» (capelli e occhi chiari, fronti alte e spaziose, quasi a denotare un livello intellettivo superiore al nostro) non è ampia come nel caso di impianti e operazioni chirurgiche effettuate dai cosiddetti «grigi» (e tutte le loro sotto-classi) ma, in ogni caso, si può dire abbastanza costante. Da non sottovalutare è il discorso del simbolo, della croce: Pedro non lo ha rivelato durante la seduta ipnotica, semplicemente perché non glielo hanno chiesto, ma si ricorda seppure sotto forma di flash ricorrenti (ricordi che avvengono in stato di piena coscienza) che il simbolo in questione si trovava anche ben visibile sulla superficie esterna della nave spaziale che, in qualche modo, ha avuto l’opportunità di vedere, probabilmente durante il teletrasporto (a forma piramidale nella parte superiore e a forma leggermente concava nella parte inferiore, molto simile alle navi spaziali osservate a Portorico negli anni Ottanta e Novanta, navi che, in pieno giorno, risucchiavano a bordo esseri umani grazie ad un raggio aspirante).
Non vorrei andare troppo oltre, ma il pensare a uomini con capelli biondi e lunghi, con una tunica francescana recante un simbolo che ricorda in maniera impressionante la croce cristiana, il messaggio di amore e umiltà di cui sono convinti portatori, non può non richiamare alla mente certe icone della religione cattolica. Gli assertori della teoria secondo cui la dottrina cristiana sia un progetto costruito ad arte da esseri provenienti da civiltà superiori, saranno felici: la religione, qualunque essa sia, è un mezzo straordinariamente potente e duraturo, perché gli insegnamenti vengono tramandati per via orale, cioè senza rischio di andare perduti. E qualunque sia il messaggio che la religione porti con sé, tale messaggio viaggerà facilmente ed eternamente.
Negli ultimi mesi del 2000 sono tornato diverse volte a casa di Pedro, ho pranzato assieme alla moglie, cordiale come sempre, e ai suoi due figli. Pedro è una persona speciale, sensibile, mi introduce ai suoi nuovi quadri con grande modestia, quasi sottovoce, spiegandomi il loro significato. Non avendo avuto più nessun problema fisico, da circa due anni ha ripreso a dipingere con più entusiasmo di prima.
«I soggetti mi vengono uno dopo l’altro, ho così tanti spunti che non so da dove cominciare!»
E così mi mostra piramidi e astronavi viaggiare nello spazio, sfere luminose e visi di alieni dipinti con grande realismo grazie alla magia dell’aerografo. La vicenda dei raggi X e del filamento metallico, che ho avuto la opportunità di vedere, non lo disturba più, anzi, sembra che sia un valido alleato per dimostrare, a se stesso più che agli altri, che la sua vicenda è vera e magnifica.
Un giorno di settembre mi chiama a casa: dopo neanche venti minuti bussa alla porta, lo faccio entrare, si siede pesantemente sul divano e si tira su le maniche.
«Guarda qui, ho delle bruciature simmetriche ad entrambi i polsi… ieri mi sono svegliato e me ne sono accorto… guarda, sono come delle cicatrici… ti assicuro che non le avevo! E tu sai bene che non fumo!»
Gli osservo con cura i polsi ed, in effetti, riscontro la presenza di due cicatrici circolari. Mi vengono subito in mente le storie di «abductions», in cui si metteva in evidenza quello che può essere uno degli scopi degli impianti sottocutanei operati dagli esseri extraterrestri, ossia il posizionamento di apparati atti a tenere i soggetti sotto controllo. Ma lo sguardo di Pedro è talmente spaventato che non ho avuto il coraggio di dirgli quello che stavo pensando.
«Non mi sembrano bruciature… sembrano più degli sfoghi della pelle… piuttosto, Pedro, ho una notizia per te: sfogliando un libro di ufologia mi sono reso conto che il simbolo con la croce (a) che hai visto sulle tuniche degli esseri è molto, molto simile al simbolo del pianeta di Ummo, (b) che è più o meno così, guarda.»
Pedro afferra il foglio e lo osserva compiaciuto con un leggero sorriso.
«Grazie Andrea… è proprio lo stesso simbolo… Ummo… finalmente comincio ad avere delle risposte… io sono convinto di aver parlato con un essere di Luce, non so come spiegarlo, ma quando mi ha sfiorato con le dita, ho sentito la sua energia… è stato qualcosa di veramente fantastico…»
La vicenda di Pedro Gomez è una vicenda ancora aperta, apertissima. A giugno ritornerò in Ecuador: ne approfitterò per un fine settimana con lui presso il vulcano Cotopaxi, con i suoi 5400 metri il vulcano attivo più alto del mondo. Nelle vicinanze, possiede una appezzamento di terra e una piccola casa: mi ha più volte raccontato che, dalla notte con l’incontro con gli esseri di Akturus, è stato «seguito» da luci misteriose durante le sue escursioni notturne (un suo hobby) presso il vulcano, mi ha mostrato un oggetto trovato durante una delle sue ultime scalate, un oggetto nero, quasi metallico, a forma di grosso uovo, con dentro una sbarra cilindrica ed esternamente una serie di curiose incisioni.
Saluto Pedro e la sua bella famiglia, la moglie dolcissima ed i suoi figli, ricevendo un forte senso di serenità, calore ed umiltà. Lo rivedrò presto.